LPQ 3 sabato
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3 sabato Quaresima
Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che abbiamo sempre la tendenza a compiacerci di noi stessi, forse perché siamo convinti di praticare molto fedelmente la nostra religione, come quel zelante fariseo, e pensiamo di dover essere considerati “per bene”, ma non abbiamo ancora capito le parole di Dio che abbiamo sentito nel brano di Osea, che dicono “Voglio l’amore e non il sacrificio”.
Gesù ci parla di due uomini che salgono al Tempio per pregare: uno fariseo, l'altro pubblicano. Colpisce molto l'atteggiamento del fariseo che si pone nei confronti di Dio, nel tempio, quasi come un pari. Sta in piedi, in una posizione ben visibile, ed elenca tutte le sue virtù, e sottolinea la grande differenza che c'è tra la sua vita e quella degli altri, tra la sua vita e quella del pubblicano, considerato peccatore, che lui considera come immondo. Tra lui e Dio non c'è differenza, lui si sente come Dio: agendo in questo il fariseo è egoista, e utilizza la sua preghiera solo per esaltare se stesso e giudicare gli altri.
Il pubblicano, che è considerato un peccatore, invece è consapevole della sua situazione, non osa neppure alzare gli occhi al cielo, e con molta umiltà si batte il petto, come facciamo anche noi nell'atto penitenziale, riconoscendo la sua situazione di peccatore. È un peccatore, cioè un uomo bisognoso continuamente di redenzione, e lo ammette apertamente non solo con le parole ma con l'atteggiamento di non sollevare il suo sguardo verso Dio.
Come è il nostro modo di pregare? Siamo come il fariseo che elogia se stesso e le sue qualità, che però torno a casa senza aver incontrato Dio? O siamo come il pubblicano che, cosciente dei suoi peccati, chiede perdono a Dio, non avendo neppure il coraggio di alzare gli occhi al cielo? Si batteva il petto e non giudicava nessuno.
Quante volte invece noi abbiamo pensato: "Si, o Signore sono peccatore, ma non proprio come gli altri". Ma il pubblicano no. Si sente peccatore e basta. E tornò a casa giustificato.