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LPO 13 domenica

Liturgia della Parola > Tempo Ordinario
13 domenica Ordinario
“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi”, ci dice il brano della Sapienza, perché “Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura”, e noi, assistendo a tante stragi, a tante catastrofi,  vedendo tanti barconi carichi di profughi che affondano, considerando tante malattie che ci colpiscono o che colpiscono tante altre persone, noi certe volte ridimensioniamo la bontà di Dio. Magari, come dicevamo domenica scorsa, ci chiediamo “Dove era Dio?”, forse dormiva, come ha fatto Gesù sulla barca, durante il temporale? E perdiamo la fiducia in Lui.  Eppure, il Vangelo ci chiede di continuare a credere nella bontà di Dio, continuando ad avere una grande fede ogni qual volta la situazione precipita e sembra irrisolvibile.
La fede è necessaria proprio quando le speranze non sono più sostenibili: quando un figlio o una persona cara, per la quale avevamo chiesto a Dio la guarigione, muore, quale speranza rimane? Nulla. Organizziamo un bel funerale, preghiamo per la pace della sua anima e per la rassegnazione dei familiari, e restiamo sconvolti. Eppure Gesù esorta a non scoraggiarsi e a non perdere la fede.
L’evangelista Marco ci presenta due miracoli compiuti da Gesù, nei confronti di due donne: una, la figlia di Giairo, che ha 12 anni, ed è all’inizio della sua vita, e l’altra donna è al termine di lunghe sofferenze per la continua perdita di sangue da 12 anni, che la sfiniscono. Né l’una né l’altra possono essere salvate dagli uomini, ma sono salvate dalla forza di Gesù e dalla fede: la donna ha la sua fede, e tocca il mantello di Gesù, affermando “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”, e per la bambina di 12 anni c’è la fede di suo padre, al quale il Signore, nonostante la figlia sia morta, dice “Non temere, soltanto abbi fede!”.
Ma come è possibile non temere, come è possibile non avere paura, non essere sfiduciati quando per 12 anni, o magari di più, stiamo sperimentando un male, una sofferenza che non passa, o come facciamo a non soffrire quando la morte è entrata nella nostra vita colpendo un figlio o una persona cara? Tu continua ad aver fede, dice Gesù a Giairo.
Giunsero alla casa e vide trambusto e gente che piangeva e gridava forte. Entrato, disse loro: "Perché piangete? Non è morta questa bambina, ma dorme". Dormire. La parola “cimitero”, dove stanno i nostri defunti, deriva da una parola greca che significa dormire, luogo di riposo, e il cimitero è la casa dove sono i figli e le figlie di Dio che non sono morti, ma che dormono, che riposano, che sono in attesa.
Dopo questa affermazione di Gesù lo deridono, come oggi deridono anche noi che crediamo nella vita dopo la morte umana, trattandoci da illusi. Ricordo che, purtroppo, nel muro di un cimitero avevo letto questa frase: “Noi non risorgeremo mai”, ma il Dio in cui crediamo è il Dio dei vivi e non dei morti, e le sue creature hanno una radice di salvezza.
Gesù cacciati fuori tutti, prende con sé il padre e la madre, e prende per mano la bambina e le dà la vita. Gesù la prende per la mano per poter rialzare questa bambina, e anche con noi, la sua mano nella mia mano, il suo respiro nel mio. E a questa bambina dice "Talità kum. Bambina alzati". Lui può aiutarla, può sostenerla, ma è lei, la bambina, è solo lei che può risollevarsi: alzati. E lei si alza e si mette a camminare.
Su ciascuno di noi, qualunque sia la porzione di dolore che portiamo dentro, qualunque sia la situazione di morte attorno a noi, su ciascuno di noi il Signore fa scendere la benedizione di quelle antiche parole: Talità kum, alzati, e dice a ciascuno di noi “alzati, risorgi, riprendi la fede, la lotta, riscopri la vita, torna a dare e ricevere amore, senza scoraggiarti”.

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