33 domenica Ordinario
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33 domenica Ordinario
Domenica scorsa, con la parabola delle dieci vergini che attendono la venuta dello Sposo, abbiamo iniziato il discorso su come dobbiamo attendere la venuta finale del Signore, parusìa, e anche questa domenica continua questo discorso con la parabola dei talenti, dei doni della fede e dell’amore, che sono stati affidati a ogni uomo.
La parabola ci parla di un padrone che è assente, e per questo motivo affida i suoi beni ai servi che devono farli fruttificare, restando fedeli alle sue disposizioni. Questo padrone rappresenta Dio, che ora è assente, e ha affidato i suoi beni a noi, che dobbiamo farli fruttificare restando fedeli alla Sua volontà. Se ascoltiamo la Sua Parola, se cerchiamo di vivere guidati dai suoi insegnamenti, anche noi abbiamo talenti, abbiamo la possibilità, la capacità di rendere migliori i beni che Dio ci ha lasciati per farli migliorare.
Dio ci ha lasciato il mondo, e noi lo stiamo distruggendo, Dio ci ha lasciato i nostri fratelli, che noi, col nostro egoismo, non stiamo aiutando perché crescano nel suo amore, e forse qualche volte li rendiamo nostri schiavi, sfruttandoli e facendo pesare il bene che possiamo far loro: siamo come il terzo servo che per paura sotterra il suo talento perché non vada perduto, ma non lo fa fruttificare. Noi ci trinceriamo con sicurezza dietro il nostro perbenismo, dietro la nostra fede, siamo tranquilli per i nostri modi di fare, per le nostre preghiere, e ci preoccupiamo solo per il nostro rapporto personale con il Signore, e trascuriamo tutto il resto, senza far fruttificare la fede e i talenti che Dio ci ha concessi. I primi due servi hanno compreso la chiamata di Dio e dedicano la loro esistenza terrena a moltiplicare i talenti che il Signore aveva concesso loro, e non li tengono solo per sé. Cerchiamo di non essere anche noi dei fannulloni. Cerchiamo di portare frutto in questo tempo nel quale stiamo aspettando la parusìa, la venuta del Signore per il giudizio finale. Secondo la sua mentalità umana, il terzo servo, è convinto che vivere la sua vita in nome del Vangelo gli avrebbe prodotto solo il danno di perdere il talento e di rovinare la sua vita. È lo stesso discorso che facciamo anche noi e, da egoisti, ci mettiamo al riparo da questi danni e preferiamo non vivere pienamente il Vangelo.
Forse ci è sembrato strano che la liturgia abbia inserito come prima lettura il brano dei Proverbi che elogia la perfetta padrona di casa, la quale si dà da fare per i suoi e per gli altri; come fanno anche oggi tante mamme che preparano il pranzo e puliscono la casa perché tutto sia a posto quando i figli e il marito rientrano da scuola o dal lavoro, o quando arrivano ospiti. L’insegnamento che questo brano ci offre è che anche noi dobbiamo essere operosi per accogliere degnamente il Signore che viene alla fine dei tempi. Se ci impegniamo per far trovare tutto a posto quando qualcuno viene a casa nostra, maggiormente dobbiamo impegnarci per farci trovare “a posto” quando il Signore verrà a incontrarci. Non dobbiamo attendere passivamente la sua venuta. Dobbiamo essere operosi per prepararci degnamento al giudizio finale.
Paolo, nel brano ai Tessalonicesi, ci ricorda che certamente il Signore verrà, anche se non sappiamo con esattezza “quando”, ma ci esorta a comportarci nella nostra vita come “figli della luce”: quando il Signore verrà, ci troverà tutti pronti ad andare con Lui presso il Padre.
Alla sua venuta egli ci darà una ricompensa che sarà infinitamente superiore alle nostre fatiche, cioè ci darà la gioia di vivere per sempre con Lui in unione con Dio e con i nostri fratelli, per l’eternità.