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3 domenica Ordinario

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3 domenica Ordinario

Nei brani di Isaia e del Vangelo si parla di Zabulon e di Neftali, che sono 2 delle 12 tribù di Israele, e che si trovano al nord, al confine, ed erano chiamate “Galilea delle Genti” perché erano luoghi dove confluivano tanti mercanti stranieri e di diverse religioni: era chiamata “Galilea” perché era formata da ebrei, da stranieri, che credevano anche in diverse religioni, ed era una terra considerata contaminata, perché si conviveva con il paganesimo; era qualcosa da cui guardarsi. Questa terra era stata umiliata perché era stata sotto il giogo del re assiro, ma è una terra che Dio libererà da questa oppressione: “in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano”, ci hanno detto oggi i brani, e questa “via del mare” è la strada che collega l’Egitto con l’Assiria. Chi agisce è Dio, che umiliò, che renderà gloriosa, che ha moltiplicato la gioia, che ha aumentato la letizia, che spezza il giogo dell’oppressione. Nei momenti della prova e nei momenti della gioia, dio è sempre presente.
Proprio in questo territorio, a Cafarnao, si stabilisce Gesù, dopo che il Battista è stato arrestato, e si stabilisce in questa terra che sembrava lontana dalla Legge di Dio a causa di tutte le persone straniere e di diverse religioni che la abitavano, e proprio qui inizia la sua missione dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”. In mezzo al popolo che camminava nelle tenebre, rifulse una grande luce: Gesù, che chiama persone che siano disponibili a collaborare e a stare con Lui. Dio chiede la conversione, chiede che cambiamo la nostra mentalità, che apriamo il nostro cuore: ci chiede che cambiamo il nostro modo di agire.
La conversione deve riguardare tutti, e convertirci vuol dire che nel nostro cuore dobbiamo fare posto a Gesù, che dobbiamo ospitarlo dentro di noi, perché è Lui che squarcia, è Lui che illumina le nostre tenebre. Gesù, il Figlio di Dio, il “Dio con noi”, si fa vicino alla nostra storia tenebrosa e ci chiede di accoglierlo. Il nostro dovere è che dobbiamo convertirci, che dobbiamo aiutare gli altri alla conversione e che dobbiamo annunciare la parola e la presenza di Gesù, anche con la nostra vita di amore. Se ci convertiamo, possiamo dedicare tutta la nostra vita per costruire il regno dei cieli, ricordandoci che tutti gli uomini siamo chiamati a diventare discepoli di Gesù per costruire il suo regno. Il regno dei cieli lo realizza Dio, attraverso la nostra collaborazione.
Dio, attraverso Gesù, per primi chiama quattro pescatori, Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, che, alla sua chiamata, subito rispondono e si rendono disponibili: “ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”. Quei quattro pescatori cercano una luce che li rischiari e, quando la trovano, “subito” si rendono disponibili e lasciano tutto il resto, compresa la famiglia e il loro lavoro: non è uno scambio tra scegliere le barche o Gesù, ma è una “conversione”, perché lasciano le cose umane e “acquistano” Gesù, Colui che può dare senso e significato alla loro vita. Anche noi possiamo seguire Gesù, anche se restiamo al nostro posto, nella nostra famiglia, al nostro posto di lavoro, ma possiamo seguire Gesù se cambiamo la nostra mentalità e lo annunciamo. I suoi seguaci non potevano immaginare dove li avrebbe portati la loro decisione; hanno affidato la loro vita a Gesù e Lui li avrebbe messi nelle strade del mondo, nella nostra storia, per seminare “la buona notizia”.
Anche Paolo, esaminando la vita dei Corinzi, esorta alla conversione: nella comunità di Corinto c’è divisione, non perché ci sono vari gruppi che formano la comunità, ma perché nessun gruppo si definisce “di Cristo” e si dichiarano devoti di Paolo, di Apollo o di Cefa, dimenticando che chi ha dato la vita per tutti è stato Cristo. Dobbiamo creare comunità, e il fondamento della comunità è il Signore Gesù: la nostra salvezza viene dalla Croce di Cristo, e non da Paolo, da vari movimenti o da altri personaggi: solo la Croce di Cristo mi salva!  

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