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11 domenica Ordinario

Liturgia della Parola > Tempo Ordinario
11 domenica Ordinario

Senz’altro viviamo in un periodo in cui tutto ci fa paura e ci spaventa: ci spaventa il periodo di pandemia che stiamo attraversando, abbiamo paura di certe decisioni politiche e civili che mettono in dubbio la nostra spiritualità e i valori nei quali crediamo, ci spaventa l’odio che è presente nella nostra società, abbiamo paura dell’immigrazione a cui assistiamo, e tante altre realtà che ci turbano, che ci allontanano dall’amore e che ci fanno pensare che il male abbia il predominio nel nostro mondo. Questa è una realtà che non è presente solo in questo periodo, ma che è stata sempre presente nella storia della umanità.
Il profeta Ezechiele, vissuto circa 600 anni prima di Gesù, in alcuni versetti che precedono la prima lettura odierna, per presentare l’arroganza e la prepotenza di alcuni re, fa l’esempio di due grandi aquile che seminano distruzione. Sembra la fine di tutto. Ma l’ultima parola non spetta all’uomo, ma spetta a Dio, ed Ezechiele in questo brano ci mostra che Dio rinnova tutto quanto, nonostante la distruzione operata dall’uomo. C’è sempre la certezza della novità, nonostante appaia che il male predomini. La parola finale non è dell’uomo ma è di Dio Padre che ci ama.
Forse, in questo periodo, anche noi stiamo vivendo questa stessa situazione di disagio. Ci sono ancora aquile, anche oggi, che stanno sconvolgendo quelle che sono le nostre idee e le nostre convinzioni. Certamente ci deve essere sempre il rispetto per quella che è la mentalità dell’altro, ma questo non vuol dire che mi si deve imporre una legge che viola i miei principi e le mie certezze. Mio padre e mia madre sono i miei genitori, e non li chiamo genitore 1 e genitore 2, ma li chiamo padre e madre, genitori, proprio perché mi hanno generato e mi hanno comunicato la vita. Spero che non arrivi anche la legge che mi imponga di non chiamare Dio come Padre, ma di chiamarlo come genitore 1: Dio è nostro Padre perché ci ha generato alla nuova vita di Grazia, attraverso il sacrificio di Cristo e il dono dello Spirito Santo.
Anche Gesù ha trovato tante difficoltà nella sua vita: alla sua predicazione ci sono stati, inizialmente, momenti di successo, e, successivamente, ci sono stati momenti quando l’entusiasmo della gente si è raffreddato perché il suo messaggio era duro da seguire. Anche i discepoli partecipano in maniera dolorosa alla crisi del ministero di Gesù. Nel loro mondo non entra il messaggio cristiano perché c’è la prevalenza di altre culture e altre ideologie, e Gesù, per incoraggiarli in questo momento di difficoltà, presenta loro la parabola del seminatore e del seme, che ci ricordano che in noi ci deve essere sempre la fiducia e la pazienza. Il seminatore semina, ma i frutti non vengono subito; deve aspettare perché fruttifichino, e, alla fine, se non  succede una calamità naturale, portano frutto.
Per far crescere il Regno di Dio è necessario che anche noi seminiamo la Parola di Dio, e la parola di Dio possiamo seminarla annunciandola e testimoniandola con la nostra vita di amore e di fede. E, allora, il seme, la Parola di Dio che seminiamo, porterà frutto. L’importane, come ci dice Paolo, è che siamo pieni di fiducia nei confronti di Dio, e che, in ogni momento della nostra vita, anche nella sofferenza, “ci sforziamo di essere a lui graditi”.

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