13.a domenica Ordinario - Sito di don Antonello

Vai ai contenuti

13.a domenica Ordinario

Liturgia della Parola > Tempo Ordinario
13 domenica Ordinario

Forse il brano del Vangelo oggi può suscitare in noi un po’ di paura, perché ci presenta il tema della morte, che anche noi sperimentiamo nella nostra famiglia, che vediamo anche nelle famiglie dei nostri conoscenti e che notiamo che succede anche in tante nazioni, a causa del terrorismo: certamente la morte non è un qualcosa che ci fa gioire, ma produce in tutti noi una sensazione di dolore e ci fa soffrire. Quando sperimentiamo la morte, soffriamo, e sperimentiamo solo l’aspetto negativo della morte, sperimentiamo solo il distacco umano da una persona cara, sperimentiamo solo la morte fisica di tante persone. E questo ci fa soffrire.
Dio non ha creato la morte, ma ha creato l’uomo e tutte le cose, perché esistano, ha creato l’uomo, ha creato ciascuno di noi per l’incorruttibilità, ci ha creato a sua immagine, però, ci ricorda il brano della Sapienza, la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo, e anche noi uomini facciamo esperienza del peccato e ci allontaniamo da Dio che è la vera vita. È questa la vita che dobbiamo cercare: la vita divina e non la vita umana.
Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, verso la Croce che lo porterà alla casa del Padre, e Gesù è sempre colui che porta la vita, e lo dimostra nei confronti di due donne: la figlia di Giairo, che ha solo 12 anni ed è all’inizio della sua vita, e di una donna che da 12 anni ha delle continue perdite di sangue che la sfiniscono.
Gesù incontra Giairo, uno dei capi della sinagoga, che chiede il suo aiuto per la figlia dodicenne che sta morendo. Come facciamo a non soffrire quando la morte entra nella nostra vita colpendo un figlio o una persona cara? Arrivano i servi del capo della sinagoga, e annunciano che la figlia è ormai morta, ma, nonostante questo, Gesù continua il suo cammino verso la casa di Giairo, a cui dice “non temere, soltanto abbi fede”, e, arrivati a casa, prende la mano della bambina morta, e, dicendole “Talità Kum (bambina alzati)”, la restituisce alla vita.
Mentre era in viaggio con Giairo, una emorroissa che soffriva da 12 anni, aveva toccato il suo mantello per poter guarire: molti gli sono vicini e lo toccano, ma Gesù si accorge solo di questa donna che lo ha “toccato” animata da una grande fede, e subito questa donna guarì dal male.
Notiamo subito la grande fede di Giairo e della emorroissa, che si rivolgono a Gesù per essere aiutate, perché da soli non possono far nulla, e Gesù, che dona la vita, viene in aiuto a queste persone e dona la vera vita, dona la presenza di Dio.
Anche a ciascuno di noi, qualunque sia il dolore che abbiamo dentro, qualunque sia la morte che sperimentiamo nel nostro cuore o intorno a noi, anche a ciascuno di noi oggi il Signore ripete queste parole: “alzati, risorgi, riprendi la fede, riscopri la vita, torna a dare e ricevere amore, senza scoraggiarti”, e ci riporta alla vera vita, che ci dà la presenza di Dio.
Il Signore non ci toglie dalla morte fisica che è conseguenza del nostro peccato, ma ci allontana dalla morte spirituale e ci fa risorgere a una nuova vita divina. La bambina aveva 12 anni, e stava per morire; anche l’emorroissa soffre da 12 anni, isolandosi dal resto della comunità; questo numero dodici fa pensare anche a Israele, costituita da 12 tribù, che formano il popolo. Anche Israele è un popolo che ormai è morto, senza vita, è un popolo sfinito, sperimenta la morte interiore, essendosi allontanato continuamente da Dio, e ha bisogno di risorgere a una vita nuova, come tutti noi, che siamo chiamati a rialzarci e a riprendere una vita di pace, di amore e di donazione.
Non cerchiamo di togliere dalla nostra vita la sofferenza e la croce, perché, se le accettiamo con fede, iniziamo a partecipare della vera vita, della vita divina. Invece cha alla vita umana, cerchiamo di pensare veramente alla vita divina, che per noi deve essere la realtà più importante.

Torna ai contenuti