2 domenica Quaresima - Sito di don Antonello

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2 domenica Quaresima

Liturgia della Parola > Tempo di Quaresima


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Forse non tutti abbiamo avuto la possibilità di fare un pellegrinaggio in Terra Santa, e non abbiamo avuto la gioia di vedere la bellezza del monte Tabor, che è più una collina che un monte, essendo di circa 400 metri di altezza. È gradevole vedere il Tabor, quando ai suoi piedi si aspettano i Taxi-Pulmini, che ci conducono alla Chiesa della Trasfigurazione sul monte. Oggi abbiamo la possibilità anche noi di salire su questo monte, dietro a Gesù, assieme a Pietro, Giacomo e Giovanni.
Domenica scorsa, quando abbiamo contemplato Gesù nel deserto che subisce e vince le tentazioni, siamo stati invitati ad andare anche noi nel “deserto”, lontani dalle realtà umane che ci allontanano da Dio. Dobbiamo fare esperienza del deserto, ma senza isolarci dal rapporto con gli altri. Vivere il “deserto”, staccati dalle realtà umane, deve portarci al Tabor, deve portarci a essere trasfigurati, a essere delle persone nuove. Dalle sofferenze, dalle penitenze e dalle rinunce dobbiamo arrivare alla bellezza e alla gioia del Tabor. Il deserto che viviamo ci deve portare al Tabor.
La prima lettura ci presenta Abramo, un nomade, uno straniero, un forestiero, che non aveva figli, e Dio lo invita a sollevare il suo sguardo in cielo e a contare le stelle, e gli promette che così numerosa sarebbe stata la sua discendenza. Abramo si fida della Parola di Dio, e così avviene una discendenza numerosa nel popolo di Israele.
Anche Pietro, Giacomo, Giovanni e tutti noi siamo invitati a sollevare lo sguardo, non per contare le stelle, ma per vedere, per contemplare la vera stella che è Cristo. I primi apostoli conoscevano Gesù, sapevano che era un falegname, ascoltavano le sue parole, ma sul Tabor non lo vedono più con gli occhi umani, ma lo vedono con gli occhi del cuore, e sperimentano la bellezza e la gloria di Dio. Hanno sollevato lo sguardo, e non lo vedono più come uomo, ma in lui iniziano a sperimentare la Gloria di Dio, tanto che Pietro esclama “Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”. “E’ bello per noi essere qui” a contatto con Dio, e non volevano più scendere dalla montagna. A loro bastava contemplare la visione celeste della gloria di Gesù.
Spesso ci accorgiamo che arrivare dal Signore è difficile, è molto faticoso perché dobbiamo salire, e questo è molto duro; ma per i discepoli non è stato faticoso il salire, ma è stato più faticoso il discendere dalla montagna. Ma devono scendere! Non dovevano solo pensare ad avere una vita tranquilla e di devozione, non dovevano solo pensare alla contemplazione della gloria di Dio, ma dovevano scendere per inserirsi nella dura realtà quotidiana. Sul Tabor hanno sperimentato che Gesù è Luce, e questa realtà che Gesù è la Luce, la devono testimoniare, e l’hanno manifestata sino alla fine. Pietro, Giacomo e Giovanni, sul Tabor, sono stati rapiti da quella luce, tanto che non volevano più scendere. Sono saliti veloci, ma quanta fatica hanno dovuto fare per scendere nuovamente nella realtà della terra.
Cerchiamo di non restare fermi sul Tabor a contemplare la Gloria di Dio, ma scendiamo nella nostra terra, dove anche noi sperimentiamo tanti “Tabor”, tanti doni della presenza di Dio, e dove sperimenteremo anche il Golgota, che ci mostra in modo pieno la presenza dell’amore salvifico di Dio nei nostri confronti. Solleviamo il nostro sguardo, perché, ci dice Paolo, “la nostra cittadinanza infatti è nei cieli”, non sulla terra, e il Signore Gesù “trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”; perciò, “rimanete in questo modo, saldi nel Signore”.
“È bello per noi essere qui”; “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”.

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