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13 Ordinario

Liturgia della Parola > Tempo Ordinario
13 domenica Ordinario


Domenica scorsa la liturgia ci ha mostrato che il peccato, con la violenza e con l'odio, sono entrati nel mondo, portando "terrore", e, in particolar modo Gesù, ci ha esortato a non temere quelli che ci fanno del male fisico, ma che dobbiamo aver più paura di quelli che ci allontanano dalla grazia di Dio.
Il cristianesimo continuamente ci parla di “cieli nuovi e terra nuova”, se noi viviamo la Parola di Dio, ma dobbiamo rinnovare non solo la terra in cui viviamo, ma dobbiamo rinnovare, innanzitutto, il nostro modo di pensare, per scegliere la volontà di Dio, come ci dice anche Paolo nel brano della Lettera ai Romani: “come Cristo fu risuscitato dai morti, …, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Siamo stati battezzati, siamo uniti in Cristo, e, nel brano della 2 Corinzi, Paolo ci ricorda che “se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. Siamo in Cristo, e allora abbiamo la possibilità di essere delle persone nuove. Ma quanto è faticoso essere delle persone nuove, diverse!
Tante volte, vedendo i nostri fallimenti, abbiamo paura di riiniziare il nostro cammino, o forse consideriamo i nostri peccati come qualcosa che non riusciamo a superare e che ormai fanno parte della nostra vita. E restiamo così! Tante volte ho sentito, nelle confessioni: “io che peccati posso avere? Non ho peccati”. E così ci sentiamo tranquilli di poter continuare a litigare con gli altri, continuiamo a non accogliere chi ha bisogno della nostra solidarietà, a differenza della donna che accoglie Eliseo, nella prima lettura; non siamo pronti ad amare gli altri e a perdonarli e continuiamo ad odiarli, e restiamo tranquilli in coscienza. Diciamo che tanto noi non ci riusciamo a migliorare.
Seguire Cristo, vuol dire mettere Lui al primo posto nella lista che io ho di quelli che devo amare: “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; …, chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, …,”, ci dice Gesù con queste parole che sembrano molto dure nei confronti dei familiari e della nostra stessa vita, ma che non vogliono dire che non dobbiamo amare il padre, la madre, i figli, o la nostra vita, che sono dono di Dio,  ma che ci vogliono dire che dobbiamo amare gli altri e la nostra vita, avendo sempre, però, al primo posto, l’amore per Dio.
Nella Colletta abbiamo chiesto a Dio il dono dello Spirito “perché camminiamo con Cristo sulla via della Croce, pronti a far dono della nostra vita”, come ci chiede Gesù nel brano d Vangelo: “Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me”. Noi diciamo che croci nella nostra vita ne abbiamo tante: abbiamo malattie, abbiamo problemi con i nostri figli che incontriamo raramente, problemi con i nostri parenti che non si fanno sentire, abbiamo rapporti difficili con le altre persone. Tante realtà che ci fanno soffrire e che noi chiamiamo “le nostre croci”.
Secondo me, queste sono delle prove, delle sofferenze che incontriamo nella nostra vita, come le incontrano anche le altre persone che non sono cristiane. Queste realtà della nostra vita, che ci fanno soffrire, diventano “croce” quando non le subiamo passivamente dicendo “pazienza”, ma queste sofferenze, queste “prove”, diventano “croce” quando le abbracciamo, quando le accogliamo, quando in queste sofferenze scopriamo che è presente Gesù, che è presente il “Dio con noi”, che nelle mie sofferenze c’è il Risorto “che è ancora con noi”. E io accetto queste prove come presenza di Dio, come presenza di un Dio “nuovo”, come presenza del Risorto. In queste prove ci incontriamo con il Risorto, che fa nuove tutte le cose.
Le nostre sofferenze, le nostre prove, se sono accettate pienamente, diventano veramente “croce” quando le mettiamo sulle nostre spalle e cominciamo a seguire Gesù sulla via della Croce, sulla via del Calvario.

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